Questa non è più moda, è dopamina
Cómo le encanta la dopamina (dame más dopamina). Anche la moda è diventata un piacere istantaneo?
Buon martedì cessini istantanei,
Vi sono mancata? Mi sono presa una pausa di una settimana che onestamente, senza “Moda al cesso”, mi è sembrata durare un’eternità. Utilissima, però: in questi 14 giorni ho creato il canale broadcast su IG e TikTok - dove facciamo sondaggi e chiacchiere riguardo i prossimi argomenti da trattare - e ho anche creato una nuova newsletter proprio qui, su Substack. Sì, avete letto bene: si chiama “Fashion Kerplunk” ed è la corrispondente inglese di “Moda al cesso”. I contenuti che ci sono qui sopra, li troverete tradotti in quest’altra nwesletter appena nata. Per riuscire a diffondere la mia comunicazione worldwide mi sembrava un passaggio strettamente necessario. Quindi, se la vostra madrelingua è inglese - o semplicemente volete dare un’occhiata - ecco il link:
E oggi, invece? La mia riflessione verte proprio sul concetto di pausa, quella che mi sono presa e dovremmo prenderci tutti. Un rito sempre meno comune, inibito da una nuova dipendenza postmoderna che sta intaccando ogni ambito: moda, musica, arte, relazioni sociali.
Buona lettura xx
Hydra
Anche voi vi svegliate alla mattina con una sensazione angosciante di vuoto, svogliatezza e senso di impotenza? A volte mi capita, ultimamente un po’ troppo spesso. È come se mi mancasse del carburante, se il sonno non avesse svolto appieno il proprio dovere. Il corpo è riposato, ma la mia testa è già tremendamente stanca, ansiosa, in cerca di qualcosa che sembra non arrivare mai. Mi sono imbattuta in un articolo di Business of Fashion che forse mi ha dato una risposta, inaspettata ma piuttosto precisa. E preoccupante, aggiungerei. Il lessico contemporaneo sembra aver sdoganato la dopamina da neurotrasmettitore a stile di vita: non ci accontentiamo più di riceverla a piccole dosi dal sesso, dal cibo, dai rapporti umani. Ora pretendiamo che ce la iniettino anche i vestiti, le scarpe, i video TikTok da 15 secondi, gli haul di Shein, i nuovi drop di brand random scoperti tramite un algoritmo - e che dobbiamo assolutamente avere tra le nostre mani. "Dopamine culture", scrive Business of Fashion, è la cultura dell'iperstimolazione e dell'immediatezza, una forma di narcisismo collettivo che inverte la superficie con la profondità e scardina lo stile di vita delle nuove generazioni (e non solo). Il risultato è un moda performativa, reattiva, in costante inseguimento del trending topic e del claim virale senza prospettive di approfondimento. Non si produce per durare, si produce per comparire in maniera quasi bulimica e poi scomparire, per fare spazio al prossimo boost dopaminico.
Quanti secoli di moda sembrano già passati da questa T-shirt?
Siamo sempre stati abituati a una moda che ragiona per collezioni, generate da visioni e concetti più o meno approfonditi. Se tutto questo oggi ci sembra obsoleto e legato alla componente nostalgica, è perché oggi il mondo della moda si è indissolubilmente focalizzato sul drop - della nuova It Bag, delle sneaker in collaborazione, della T-shirt con la frasetta buonista che hanno indossato gli ennesimi Zendaya, Pedro Pascal, Harry Styles e così via. Il ciclo dell’euforia collettiva nei confronti di questi prodotti circoscritti a un momento storico è breve, violentissimo, autoindulgente. Dopo l’inevitabile sold-out, ecco che un accessorio o item virale si replica all’infinito su piattaforme tipo Temu, Shein e Aliexpress, e poi si disintegra nel giro di tre mesi. Tra qualche decennio ci ritroveremo la testa piena di domande futili: ti ricordi quando Chiara Ferragni ha attaccato un Labubu sulla sua Hermès? Ti ricordi la T-shirt “Protect The Dolls”?, e così via, in una marea di ricordi annacquati che al tempo ci sembravano argomenti scottanti da coprire sui nostri social divulgativi. Una borsa viene ostentata come trofeo per poi essere rivenduta (se va bene) o buttata (se va male). Perché di base nessuno indossa più nulla per sé, tutto è content e come tale, è dimenticabile nel giro di pochissimo tempo. Ma è anche vero nonostante tutto sia stimolo, l’euforia non è la vera felicità. È solo un picco, una curva drogata che finisce sempre per richiudersi su sé stessa.
In questo scenario, è chiaro che il potere creativo non sia più nelle mani di un designer, ma shifta inevitabilmente nelle mani dell’utente, consumatore o meno. Utente cioè creator, influencer, content strategist ma anche passivo osservatore. Oggi la moda si plasma a partire da cosa viene condiviso, indossato nell’algoritmo dei microtrend. Non è un caso che i fiocchi, gingillo per eccellenza dell’annata 2022, siano magicamente apparsi in seguito sulle passerelle di tantissimi marchi di moda improbabili - uno tra tutti Prada, proprio quello dove non avremmo scommesso di trovarli. Il fashion designer in primis, anche senza ammetterlo, guarda TikTok per sapere cosa funziona, il marketing analizza le dashboard, le vendite seguono l’umore dei consumatori. Viviamo nell'illusione della democrazia creativa in cui tutti possiamo partecipare al processo, ma nessuno di noi, ironia della sorte, sembra essere in grado di rallentarlo. Perché nessuno ha più il tempo di decidere cosa è bello e cosa non lo è, cosa ci piace personalmente è cosa è solo un meccanismo di copy. Si scrolla e si assimila, volenti o nolenti, nel più veloce tempo possibile, senza preoccuparsi di un cervello sempre più sazio e stremato dalle stronzate.
E qui arriviamo al punto dolente. Perché se tutto è piacere immediato, allora niente è più davvero nostro. Il gusto personale si dissolve nel gusto collettivo, e in questo modo l’identità - che per anni abbiamo protetto con le unghie e con i denti - diventa un frammento, un riflesso di un’immagine già vista altrove. Non ci si veste più per costruire un linguaggio proprio, unico e speciale, ma per generare interazioni all’interno di una tendenza condivisa. E se domani il trend cambia, si cambia tutto un’altra volta, per saziare l’appetito dell’osservatore desideroso di un nuovo piatto. E il ciclo ricomincia. Quella sensazione che vi descrivevo all’inizio… Secondo me stiamo vivendo una forma nuova di ansia performativa, dettata sì dalla paura di restare indietro, ma anche dall’inspiegabile fame che sentiamo in ogni momento della giornata. L’ansia di non suscitare abbastanza hype negli altri, ma nemmeno in noi stessi. Ci diciamo stufi dei microtrend, tuttavia non vediamo l’ora di parlarne, magari per sbeffeggiarli, ma in fondo sentiamo che abbiamo bisogno di una nuova ondata collettiva per scegliere se prenderne parte o rifiutarla con superiorità. L’importante è che succeda qualcosa.
E questa fame non riguarda solo noi comuni mortali, ma è lo stesso sistema moda, come vi preannunciavo, a muoversi in funzione della dopamina. Le grandi maison non si affidano più a un’estetica coerente e riconoscibile nel tempo, ma al potenziale virale di uno shock creativo. La scommessa non è più solo sul prodotto, ma sull’effetto di un direttore creativo rinomato, divisivo, “capace di agitare gli animi” - in positivo o in negativo, non importa. Vedi il caso di Demna, che dopo anni di controversie da Balenciaga, oggi si prepara a sbarcare da Gucci come nuovo stimolo globale. E lo stiamo aspettando tutti: per amarlo, per criticarlo, per farci dei TikTok. Ma lo stiamo aspettando, e il fatto che il suo debutto sia posticipato a febbraio, sotto sotto ci innervosisce. Non abbiamo più il piacere dell’attesa, D’Annunzio si starà rivoltando nella tomba. Però lasciatemelo dire nel modo più netto, ci serve una pausa. Una disintossicazione da questa frenesia narcisistica che ci vuole tutti reattivi, veloci, produttivi. Serve in effetti il coraggio dell’invisibilità, una moda che torni ad avere tempi morti e riflessione. Anche per quanto riguarda i contenuti social: perché dover sempre e per forza riassumere tutto alla velocità della luce, creare un gancio a inizio video e parlare il più velocemente possibile? Perché “accorciabro”?? Io voglio ascoltare e creare i contenuti così come si leggerebbe un libro. Ci siamo dimenticati che dopotutto anche la serotonina ha, dal canto suo, il suo fascino con quella calma profonda, quella bellezza duratura che non stordisce e che rimane, ci accompagna nel tempo. Quindi sì, prendiamoci, prendetevi anche voi una doverosa pausa. Guardiamoci negli armadi, nello specchio, e chiediamoci: sto ancora scegliendo o sto solo reagendo alle scelte degli altri?
Quando riconosci i sintomi e la chiami per nome, sei già un passo avanti giusto? Hai già fatto un passo fuori dal problema. Cosa ne pensate? Ogni commento è come sempre super apprezzato.
Ci vediamo la settimana prossima, puntuali come le fatture (quelle mandate, non quelle pagate) e non dimenticatevi di fare un salto anche su Fashion Kerplunk!A prestooooo
sentirsi spiaccicata in faccia la realtà mi fa capire ancora di più quanto sia grave il problema. e quanto sia una realtà condivisa, non solo un problema mio. grazie per dare un nome all’intruglio di pensieri disorganizzati del mio cervello
Una riflessione intelligente scritta in modo ineccepibile. Brava, come sempre.